Le pagelle alle spose vip di Randy Fenoli
«Sono nato e cresciuto nelle campagne dell’Illinois, ultimo di sette fratelli. Mio padre, militare e pugile, era un violento, e spesso mi ha preso per il suo bersaglio. Però gli sono grato. Perché mi ha insegnato ad andare via, lontano. E a diventare un uomo migliore di lui».
Occhi liquidi e voce incrinata non erano intervalli prevedibili con Randy Fenoli, uno popolare per radiosità e suo contagio, che nella chiesa sconsacrata di San Vincenzo, diventata a Piacenza un teatro, supera il silenzio e la commozione da ricordo con l’insegnamento esistenziale che ne ha tratto: «Bisogna entrare in sintonia con se stessi. Io con quella fattoria non c’entravo davvero nulla. La sveglia alle 5 per dare da mangiare alle mucche. A rompere il ghiaccio con un martello pesante quanto me. Benedico quella sera in cui bambino mi misi a giocare in segreto con la macchina da cucire di mia madre. In una notte mi venne naturale un vestito perfetto sulle sue forme, che mi valse il perdono, e il lasciapassare: “È magnifico. Mi fai anche una gonna?”. Senza, tutto questo non ci sarebbe stato». «Tutto questo» è il successo da stilista e fashion director della boutique di abiti da nozze Kleinfeld di New York, da cui conduce il reality Say Yes To the Dress (Abito da sposa cercasi, in onda su Real Time) e da cui è partito con un tir pieno di modelli per lo show on the road Randy To the Rescue. «La sua lezione non poteva mancare in Italia», dice l’amica Franca Guglieri, che l’ha voluto alla sfilata del suo atelier Rebecca la sposa, presentata dal direttore di Vogue Sposa Giuliana Parabiago.
Di cosa va più fiero?
«Di avere superato i momenti bui, e così di essermi salvato. A mio fratello non è andata altrettanto bene, è rimasto. E non avendo rotto il circolo è capitato replicasse con i suoi figli le mani pesanti di nostro padre». Ha sofferto molto?
«Per un’altra ragione, anche. Ero molto legato a mia madre. E all’unica sorella, tra tutti noi maschi. Era la secondogenita, fu lei a crescermi. È morta d’improvviso, a 26 anni, per un aneurisma. Io ne avevo 12, mi chiusi in una stanza e a lungo non parlai più con nessuno».
La ritrovata felicità che data ha?
«A 16 anni: la fuga dalle stalle in Louisiana, dove iniziai a lavorare come truccatore e parrucchiere. Seguì il Fashion Institute of Technology di New York. Mi piacevano i bozzetti da sera, ma rimasi folgorato dall’idea di potere creare un pezzo unico, per il giorno più importante di una donna».
Le muovono l’accusa di avere «sporcato » il buongusto italiano con lo sfarzo americano. Ha una difesa?
«Mi chiedono tagli a sirena, lustri e perline ma sono il primo a votare la semplicità tradizionale, per quell’occasione».
Alla fine assomigliano tutte a delle Barbie.
«Vogliono essere principesse per un giorno, e io cerco di accontentarle chiedendo loro come vogliono sentirsi: sexy, d’avanguardia, bohémienne».
Ama le suocere?
«Razza pericolosissima, Dio le protegga. Non vogliono sembrare vecchie, ma neanche essere al di sopra della sposa. Mettono bocca su tutto: le adoro, ma meglio venire sole».
Budget minimo per evitare di fare brutta figura?
«Almeno mille dollari. Le scarpe: alte e riutilizzabili. Il velo e l’acconciatura: sempre. Senza, si resta una ragazza vestita di bianco».
È un purista dell’abito bianco?
«Concedo il rosa chiaro e il perla. No ai colori. E se poi un invitato indossa lo stesso in un corpo migliore?».
Il suo più grande affare?
«Una donna mi diede 45 mila dollari per un capo su misura».
Su quale donna vorrebbe vedere un suo abito, nel giorno del suo matrimonio?
«Monica Bellucci. La vedrei perfetta in bianco e con il velo: le seconde nozze, che sono anche seconde possibilità, vanno onorate».
Come vestirebbe due sposi uomini?
«Stesso abito, o comunque stesso stile. Due donne invece non possono doppiarsi: devono completarsi a vicenda».
A proposito di nozze gay, lei è sposato?
«Se mai lo farò, saranno quattro giorni di festa su un’isola deserta con gli amici più intimi. Ma mi avvicino ai 50 e non penso succederà».
Dispiaciuto?
«Il mio rimorso più grande è non avere avuto figli. Lo so per certo: sarei stato un gran padre».
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